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Quante incognite sui nuovi incentivi alle imprese


  
 
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- Articolo di Paolo Duranti -

Il crollo della domanda sui mercati internazionali, con fortissime ripercussioni su di un'economia, come la nostra, vocata all'export, ha reso ancor più evidenti alcuni limiti del tessuto produttivo italiano. Limiti che negli ultimi decenni, e in particolare dalla crisi del 1974, non è riuscito a superare del tutto.
Mi spiego meglio: l'80 per cento del valore aggiunto nazionale è prodotto da micro, piccole e medie imprese: questo dato comporta non soltanto effetti positivi sul piano della competitività. Infatti, a un'eccessiva frammentazione degli attori economici, sul piano sia dimensionale che territoriale, conseguono necessariamente elevati costi gestionali ed organizzativi.
Prendiamo ad esempio i settori della logistica, dei trasporti e del magazzino: laddove diverse piccole realtà, non necessariamente della medesima filiera, trovano momenti di accordo per organizzare congiuntamente talune fasi produttive, il beneficio in termini finanziari è immediato. Purtroppo però su questo piano non si è fatto abbastanza.
Così come, e in tal modo arriviamo ad un secondo aspetto molto delicato, il grado di innovazione presente nelle aziende del Bel Paese non è oggi in grado di permettere un confronto con i concorrenti dei mercati emergenti, almeno in casa loro.
Insomma: in Italia, sia nel pubblico che nel privato non si investe ancora a sufficienza rispetto alle esigenze del mercato. Un contesto così delineato va ad aggravare ulteriormente il già precario rapporto tra imprenditore e pubblica amministrazione: la burocrazia, si sa, rischia di strozzare molte aziende, appesantite a dismisura di oneri - diretti ed indiretti - che i loro concorrenti stranieri non devono sopportare: basti pensare che i rapporti con la pubblica amministrazione pesano per un'azienda italiana circa quattro volte di più rispetto a quanto incidono per un imprenditore Usa.
Nella direzione di colmare questi deficit, tipici soprattutto delle piccole e medie imprese, da qualche anno a questa parte si registra una forte attenzione del legislatore. Le norme varate in quest'ambito - mi pare con uno spirito bipartisan - vanno nella giusta direzione di premiare gli sforzi degli imprenditori nel finanziare processi innovativi e quindi le attività di Ricerca & Sviluppo, da un lato, e nel trovare alleanze con altri protagonisti della medesima filiera oppure anche con attuali o potenziali concorrenti, dall'altro.
E anche l'ultima sfornata di provvedimenti - dalla Manovra "anticrisi" contenente la cosiddetta "Tremonti-ter" alla legge "Sviluppo" - mi pare sia coerente con la strategia sopra evidenziata. A questo proposito mi sia permesso svolgere un paio di considerazioni ulteriori. Innanzitutto le "reti di impresa": cosa sono? Quali vantaggi amministrativi, fiscali, previdenziali, ecc. saranno accordati alle imprese che stipuleranno accordi di questo tipo? Francamente, è presto per capire quale sarà l'ambito di applicazione della norma e, cosa ancora più importante, la sua efficacia. Non dimentichiamo che anche la normativa-quadro sui distretti - emanata per ben due volte nel giro di pochi mesi - attende ancora le relative disposizioni attuative. E che cosa dire dei cosiddetti "premi di concentrazione"?
Anziché il riconoscimento fiscale del disavanzo da fusione, introdotto dal governo Prodi con la Finanziaria 2007 e riproposto da Tremonti - che, a mio avviso, è idoneo ad essere considerato più un comodo strumento elusivo che un meccanismo premiante - non sarebbe meglio tornare all'incentivo efficacemente previsto con il decreto per la competitività del 2005?

- Paolo Duranti è fiscalista e autore del libro Agevolazioni alle imprese. Testi aggiornati con la Manovra 2007 e con il decreto sulle liberalizzazioni per Spirali.

 
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