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La leader uigura: «Violenze continue ma il mondo tace»


  
 
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Assieme al Dalai Lama, è la figura più detestata e temuta dal regime di Pechino: il suo nome è Rebiya Kadeer, la pasionaria degli uiguri, la popolazione turcofona che abita la regione del Xinjiang teatro lo scorso luglio di sanguinosi scontri etnici sfociati in una feroce repressione per mano del governo centrale cinese.
Rebiya Kadeer, 62 anni, è un personaggio unico. Imprenditrice di successo nella Cina degli anni Novanta, esibita dal regime come esempio di integrazione da parte della minoranza uigura, si converte alla causa nazionale dopo i massacri del 1997. Due anni dopo finisce in carcere, dove resta fino al 2005. Liberata su pressione americana, ripara negli Stati Uniti. Dall'esilio continua ad animare la lotta del suo popolo per l'autodeterminazione: sempre in giro per il mondo, marcata a uomo dagli emissari di Pechino. In questi giorni è a Milano per partecipare al Festival della modernità organizzato dalla casa editrice Spirali. E ha fatto tappa al Corriere.
Nei mesi scorsi lei è stata in Giappone e in Australia, sempre accompagnata dalle proteste cinesi verso i Paesi che l'hanno accolta. Ora è venuta in Europa. Come ha reagito Pechino a questo viaggio?
"Questa è una visita semi-ufficiale che toccherà sei Paesi, dove incontrerò parlamentari e diplomatici. A settembre, quando sono stata al Parlamento europeo, Pechino ha mandato segnali alla Ue minacciando il deterioramento delle relazioni. Perché per loro sono solo una terrorista".
Com'è la situazione nel Xinjiang in questo momento?
"Ci sono arresti e torture in corso. Dall'inizio del mese il regime ha lanciato una campagna di intimidazione per colpire per primo. I detenuti per ragioni di sicurezza sono decine di migliaia. Due settimane fa ci sono state 9 esecuzioni, portate a termine soltanto una settimana dopo la sentenza. E questo è solo quanto siamo riusciti a sapere: sulla regione è calato da luglio un completo blackout informativo, internet e i telefoni sono tagliati".
Quale obiettivo vi prefiggete per il Xinjiang: l'autonomia o l'indipendenza?
"Se ci limitassimo a chiedere l'autonomia Pechino ci risponderebbe che l'ha già concessa. E' così che giustificano da 60 anni la repressione. In realtà controllano il nostro popolo tramite fantocci uiguri. Noi vogliamo l'autodeterminazione secondo il diritto internazionale. L'indipendenza è irrealistica, per noi come per il Tibet. Attraverso il dialogo vogliamo giungere a una soluzione pacifica".
Come sono i suoi rapporti col Dalai Lama?
"Sono molto buoni. La nostra situazione è simile a quella del Tibet, condividiamo lo stesso destino e la stessa sofferenza. Mi incontro spesso col Dalai Lama e insieme sottolineiamo l'importanza della lotta pacifica. Se il Tibet sarà in pace anche noi saremo in pace e viceversa. E' interesse dei cinesi sedersi con me e il Dalai Lama al tavolo dei negoziati".
Cosa si aspetta dall'Europa e dall'Italia in particolare?
"Europa e Italia devono chiedere ai cinesi di mettere fine alla demonizzazione e negoziare una soluzione pacifica. Quando incontrano i rappresentanti di Pechino dovrebbero sottolineare il rispetto dell'identità e della cultura di uiguri e tibetani. La mia speranza è che l'Italia mandi una delegazione parlamentare nel Xinjiang per investigare sugli arresti e le sparizioni. Perché le cifre che abbiamo noi sono ben più alte di quelle ufficiali fornite da Pechino". (Luigi Ippolito)

 
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eco di stampa di Rebiya Kadeer ( )





 
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