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Zanussi: ecco il mio giornale di bordo


  
 
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Il regista polacco venerdì a Cinemazero di Pordenone e lunedì al Visionario di Udine: presenterà "Tempo di morire": una vita d'artista tra ricordi, riflessioni e aneddoti

Ricordi, riflessioni, aneddoti recita il sottotitolo del bel volume di Krzysztof Zanussi, appena edito da Spirali. Ricordi, riflessioni, aneddoti, quasi un antidoto a quel Tempo di morire (titolo del volume) che sembra suonare di primo acchito come seduttiva sirena di fronte alle troppe derive del nostro mondo occidentale, negli ideali infranti e nei valori depauperati, negli stili di vita massificati, nella concezione del lavoro artistico come ricerca non più della verità e della bellezza, ma del consenso facile e del guadagno immediato... Ricordi, riflessioni e aneddoti come una sorta di rassicurante argine alla tentazione di mollare, di abbandonare il campo, dal momento che è difficile riconoscersi e riconoscere il senso e il valore di sé e dell'opera in cui si è spesa la propria esistenza. Se le cose stanno così, allora è tempo di morire, sembra dire Zanussi, facendo sua l'espressione di un regale attore polacco, Jerzy Leszcynski, che all'indomani della seconda guerra mondiale di fronte a un giovanotto rubizzo, tipico eroe proletario, che gli si proclamava collega, disse «lei è un collega, un attore? allora è tempo di morire».
A mitigare questa amara e profonda consapevolezza, cui non corrisponde peraltro alcuna nostalgica celebrazione o mitizzazione o rimpianto del passato, in queste pagine così piene di avvenimenti eccezionali e di quotidiana intimità, di incontri con uomini straordinari, di momenti belli e altri brutti ma non per questo meno vitali, c'è però un'indomita voglia di futuro, proprio perché il mondo, e quello polacco in particolare, è cambiato, «bisogna morire, per rinascere di nuovo»: così Zanussi, che nelle ultime pagine del libro sottolinea come non volesse «scrivere una biografia di corsa, perché mi sento ancora lontano dall'approdo, ma poiché la storia ha segnato una cesura, forse, invece di tessere ricordi, vale la pena di guardare avanti, alla vita e immaginarsi il proprio futuro. Fino alla fine».
Un futuro pieno di progetti e voglia di fare. Come del resto è stata sin qui tutta la vita del grande cineasta e intellettuale polacco e che il libro testimonia in modo non piattamente cronologico o esclusivamente autobiografico, ma forte di tante osservazioni, di pensieri mai peregrini o scontati che investono tutti i campi dell'esistenza, dell'arte, della politica e della società, a suffragare il senso e necessità il racconto dei ricordi. Che mescolano vita privata, pochissima e assai pudicamente evocata (tanto per dire: solo brevi cenni sulle sue origini e sui rapporti con i parenti italiani, gli Zanussi capitani d'industria pordenonesi; un certo breve rilievo solo per la storia - quasi un soggetto da film - del trisavolo che abbandona moglie e due figli in Polonia, dove era per lavoro sulla ferrovia Vienna-Varsavia, e se ne ritorna in Friuli con la scusa di stare per morire e invece qui si rifà una nuova vita, continuando a mantenere i rapporti epistolari firmandosi col nome del fratello), e vita artistica, la passione per il cinema e le domande che a questa passione si accompagnano. Quasi tutti gli episodi narrati scaturiscono infatti da riflessioni sul mestiere dell'arte e su quello di vivere, dove la tensione a trovare un bandolo di significanza è forte e sempre stimolante. Così le personalità della politica, del cinema, dell'industria, tantissime, che Zanussi ha incontrato, servono non tanto ad alimentare una sterile anedottica autocelebrativa quanto a testimoniare di una vocazione e di un impegno sempre finalizzati alla realizzazione di un'idea di arte che autenticamente tale può essere solo se libera, e libera espressione di chi la pratica.
Anche quando, come nel caso del film su Papa Wojtyla, Da un paese lontano (1981), essa non nasce da intima ispirazione ma su commissione, poi pienamente condivisa e fatta propria. un capitolo, quello sull'incontro con Giovanni Paolo II e sul film, molto dettagliato, ma rispettoso, intonato a quel top secret che doveva informare tutta la lavorazione, nonostante durante le riprese delle scene sulla liberazione di Cracovia, alla fine del secondo conflitto mondiale da parte dei carri armati russi, avessero gettato nel panico l'ambasciata americana a Varsavia, che le scene le aveva viste trasmesse dal satellite a Washington e ritenute vere (si era all'indomani della proclamazione dello stato d'emergenza e si temeva un'invasione sovietica della Polonia, come era avvenuto a Budapest e a Praga). E quello con il regime comunista è un rapporto sul quale, inevitabilmente, Zanussi ritorna spesso, evidenziando la fatica di lavorare, in quel contesto di diffidenza e sospetto per la creatività (e non solo, ovviamente!), in spirito di autonomia e libertà, ma anche i piccoli compromessi, le piccole strategie per aggirare (come un novello Schwejk) le disposizioni e le imposizioni della censura che la dicono lunga su un sistema immobilizzato nell'ottusità di una burocrazia al limite dell'ingovernabilità.
Tempo di morire si legge allora come un breviario che non è però di mera sopravvivenza, ma espressione sincera di un intellettuale testimone lucido e appassionato del nostro tempo, mosso anche da una fede profonda, che in un'epoca in cui «la nuova generazione si è abbandonata alla sfiducia, al balbettio postmodernista secondo cui tutto è relativo, che la verità e la bellezza non esistono esistendo solo le convenzioni» continua ostinatamente a credere che «l'espressione della verità e della bellezza si muti costantemente, ma che al di là della formulazione imperfetta ci sia sempre un valore assoluto: la bellezza e la verità senza aggettivi. E se si perde questa fede, allora non vale la pena di occuparsi di arte». (Mario Brandolin)

 
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