The Second Renaissance
     
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Arrabal: la mia guerra contro la banalitā


  
 
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Incontri/Il grande artista espone a Milano il suo museo privato
"Artista dell'anima, rimatore senza essere spadaccino, schernitore dell'ordine, atipico nel suo surrealismo, brillante come un inventore, contento della propria vita. Libero. Sempre".
Christian Dupeyron scrisse per Fernando Arrabal, nell'aprile di sei anni fa, a Parigi, questa dedica-ritratto. Una definizione completa del cineasta di Viva la muerte e Andrò come un cavallo pazzo, spagnolo nato a Melilla, in Marocco, nel 1932 e parigino dal '55. Poeta, romanziere, saggista, drammaturgo, regista teatrale e cinematografico, pittore, un pluripremiato mai servo dei premi e delle giurie che li assegnano. Va tuttora da una disciplina all'altra con anacronistica disinvoltura. Quasi fosse ancora possibile vivere alla maniera dada, nel segno della sfida, dell'anticonformismo, del riso che polverizza le convenzioni e inneggia alla geniale anomalia.
Quanti amici, attorno ad Arrabal. Tutti di gran segno, gli spagnoli Picasso, Dalì, Mirò, Saura, gli americani Calder, Pollock, Man Ray, Capa, i francesi Duchamp, Messagier, Cèsar, Masson, Topor, Tanguy, Michaux, i latinoamericani Wilfredo Lam, Botero, Camacho, il belga Magritte, l'olandese Van Velde, il tedesco Max Ernst... Gente che ha testimoniato a Fernando la propria colleganza regalandogli quadri e disegni, rime e manifesti, documenti e provocazioni. L'insieme di questi materiali è ora in mostra a Milano. Milleduecento opere e oggetti d'arte per più di duecento firme riuniti nel museo della Villa San Carlo Borromeo ed esposti fino al 23 settembre. L'intera collezione privata di Arrabal riunita sotto il titolo: Parigi l'avanguardia. Arrabal Espace. In altre parole, un baluardo dell'intelligenza contro la banalità montante.
Dice Arrabal: "Viva l'avventura. La mia prima, che ricordo con sconvolgente precisione, cioè la mano di mio padre, pittore, che affondava i miei piedi di bambino nella sabbia della spiaggia di Melilla, e tutte le altre in processione, fino ad oggi. Sono passato per la guerra e la peste, ho sublimato il dramma della scomparsa di mio padre, il dramma della mia vita: lui era in carcere, lo avevano condannato a morte durante la guerra civile, commutandogli poi la pena in 30 anni e un giorno di prigione. Scappò. Risulta disperso. Null'altro è riuscito a sembrarmi peggiore. Così, ho sempre inseguito la fiamma del rischio, che è uguale alla fiamma dell'amore. Con Bréton, con Topor, contro Francisco Franco, contro Fidel Castro. Con quelli che hanno fatto esplodere la Morale, contro quelli che non sanno cosa sia questa forma di scandalo salutare. Sant'Agostino non consiglia forse: ama e fai ciò che vuoi?".
A suo tempo incarcerato da Franco, Arrabal scrisse a Castro, una quindicina d'anni fa, in periodo non sospetto, una lettera dall'incipit esplosivo: "Invio questa lettera a Castro con la stessa speranza folle, con lo stesso timore con cui scrivevo ieri al generale Franco. Scrivo oggi, primo giorno del 1984 di Orwell e ultimo giorno del primo quarto di secolo del governo castrista". Per Fernando, Fidel è "un titano che viene dopo i titani del Novecento chiamati Mussolini, Hitler, Stalin, anche Franco, uomini che volevano un mondo migliore indipendentemente dal modo di renderlo tale. Al contrario, che so, di Cervantes e dei suoi chiari compagni - fra i quali indegnamente mi metto - i non Titani, gli schiavi. Schiavi della libertà".
Nel 1971, al Festival del cinema di Cannes, John Lennon e Yoki Ono gli andarono incotro fischiettando il tema musicale di Viva la muerte. Poco dopo Picasso lo invitava nel suo atelier: aveva dipinto, prendendo spunto dal titolo del fortunato film del suo conterraneo, un Viva la vida che fu poi consegnato a Fernando da Luis Bunuel. Quasi contemporaneamente, il National Theatre di Londra, allora diretto da Laurence Olivier, metteva in scena il dramma di Arrabal L'architetto e l'imperatore d'Assiria.
Rimpianto per quei ruggenti Settanta? "No. Perché dovrei? La Fantasia, colei che Pirandello vede come una dama vestita di nero, non mi abbandona. Non mi abbandonano i ribelli, di ieri o di oggi non ha importanza. L'importante è, nell'odierna piattezza, avere a che fare con le persone eccezionali. Altro potere non esiste. Oltre il genio, il culo di ognuno è lo stesso". Sta per ultimare un nuovo film, che riceve gli ultimi tocchi in questi giorni a Milano: "Trenta ore con Borges, protagonista Borges, titolo: Borges secondo Arrabal. Un giorno - ero con lui a Tokio - gli chiesi: 'Lei prega?'. 'Certo, tutte le mattine, mi sarebbe impossibile non farlo, perché l'ho promesso a mia madre'. L'ho invidiato. Io sono agnostico. Credo in mio padre, mi piacerebbe credere nei tarocchi, ammiro la meccanica quantica, i frattali, la biologia molecolare". Un aggettivo per il presente? "Formidabile. Da una parte il computer, dall'altra la Ragione che esplode. Formidabile da far paura". (Rita Sala)

 
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