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«Vi spiego io perché il mondo arabo non è libero»


  
 
Notazioni

Un'indagine intorno alla scrittura, alla politica e al terrorismo religioso, procedendo dall'analisi linguistica della contrapposizione tra arabo classico e arabo vernacolare. È quanto propone Moustapha Safouan nella sua ultima fatica editoriale, Perché il mondo arabo non è libero? Politica della scrittura e terrorismo religioso, pubblicato dalla casa editrice Spirali.
Lo scrittore franco-egiziano non risparmia critiche neanche al presidente Hosni Mubarak.

Partiamo dal suo libro. Il mondo arabo non è volutamente libero?
«La struttura del potere politico in Medio Oriente si perpetua da millenni, da quando, all'alba della storia, sono apparsi i grandi Stati nelle vaste vallate della regione come quella del Nilo o in Mesopotamia. Bisogna sottolineare che lo Stato è un'istituzione che si distingue da tutte le altre perché detiene il monopolio dell'uso della violenza quando vuole imporre i suoi decreti e le sue leggi. Questo monopolio si basa tuttavia su una legittimazione. I Greci - per i quali gli Stati erano in realtà, per via della geografia, delle città, edificate su delle isole più o meno grandi - erano abituati a riunirsi per discutere dei propri affari e per prendere le decisioni al riguardo.
Hanno così considerato che fossero, loro stessi, la fonte della legittimità dello Stato; in altre parole, la sovranità in questo modello statale era rappresentata dal popolo stesso. Ebbene questa nozione del popolo sovrano non ha mai attecchito in Medio Oriente, dove, per via dell'importante numero di abitanti che popolavano le vallate della regione, il principe o, per usare un termine di La Boétie, "il monarca" pretendeva di trarre la propria legittimità dall'ordine del sacro. Il faraone era un dio o un semi-dio. Ciò spiega l'emergere di un sistema di potere assoluto in cui il monarca è responsabile unicamente davanti a sé stesso o a Dio. Gli arabi, nell'edificare i loro Stati, dopo fulminee conquiste territoriali, hanno adottato lo stesso modello. I primi califfi - i successori del profeta - hanno così voluto riunire gli scritti del Corano sparsi su dei frammenti di pelle, ardesia o osso per farne un unico libro, il Corano appunto, dal quale dicevano di trarre la loro autorità. Senza contare che il termine stesso di califfo conferiva loro una dignità fortemente religiosa in quanto diventavano così i successori del profeta.
Questo modello di legittimità si è perpetuato fino ai nostri giorni, poiché il Corano è considerato una religione di Stato dalle costituzioni di tutti i Paesi arabi e poiché il capo di Stato è considerato il "principe dei fedeli", per evocare, per esempio, la qualifica del re del Marocco. Infine, direi che il popolo non ha mai avuto la possibilità e il diritto di parola per quanto riguarda la scelta del potere politico dal quale sarebbe stato sottomesso».

Sono passati otto anni dall'11 settembre. Il tema dello scontro di civiltà, che ha influenzato la politica mondiale dopo l'attacco alle Torri gemelle, è ancora attuale?
«Se con il termine "Occidente" parliamo di Europa e con il termine "Oriente" intendiamo la regione medio-orientale, potremmo dire che Est e Ovest non hanno mai smesso di incontrarsi, di comunicare. E questo a tal punto che oggi possiamo considerare la loro storia come l'intrecciarsi delle loro relazioni da un punto di vista commerciale, culturale, militare. Non parlerei di scontro di civiltà, bensì di una differenza radicale, fondamentale per quanto riguarda le loro filosofie politiche, una differenza di cui erano ben coscienti i Greci, che continuavano a paragonare la loro libertà politica al dispotismo orientale».

Lei è ancora molto legato all'Egitto. Mubarak può svolgere un ruolo importante nel processo di pace in Medio Oriente?
«Non può svolgere nessun ruolo, innanzitutto perché si regge al potere unicamente grazie all'aiuto alimentare, milioni di tonnellate di grano, che gli Stati Uniti forniscono all'Egitto ogni anno. Un uomo che deve il suo potere ad un appoggio esterno non può permettersi il lusso di dire alcunché sugli affari del mondo».

Non sembra però esserci un'alternativa allo strapotere del presidente egiziano...
«Non ci sono alternative. In primo luogo perché il popolo ha sempre e soltanto concepito il potere come la cosa di un uomo solo. L'Egitto non ha mai conosciuto uno scenario politico in cui il potere era condiviso da una molteplicità di centri decisionali. Questo Paese non ha mai conosciuto e vissuto il concetto di società civile. La popolazione era riunita dallo Stato unicamente per servire lo Stato, quando, per esempio, doveva costruire piramidi o ponti, ma non ha mai potuto riunirsi per difendere i propri interessi.
Per questo motivo l'idea stessa dell'ordine, delle regole, alla base di un qualsiasi lavoro collettivo, è a loro estranea: non si riesce neanche a fare la coda davanti ad uno sportello postale o bancario. Ammettiamo che il popolo si unisca in protesta, l'insurrezione sfocerebbe in ogni caso nella presa di potere da parte di un dittatore, come chi lo ha preceduto.
Un'altra alternativa potrebbe essere offerta da un colpo di Stato, ma si tratta di un'eventualità remota poiché l'esercito controlla tutto il Paese fin dai tempi di Nasser. E per quanto riguarda le elezioni, tutti sanno, a cominciare dai diretti interessati, che le urne sono preparate in anticipo dalle prefetture».

Cosa pensa della mancata elezione dell'egiziano Farouk Hosni a capo dell'Unesco?
«È la dimostrazione che Mubarak e i suoi portaborse misconoscono la realtà politica del nostro mondo contemporaneo. Continuano a dire, vantandosene, che l'Egitto è una grande potenza, almeno da un punto di vista regionale, mentre in realtà questa nazione non ha un vero posto, un vero ruolo sulla scena internazionale, a parte, forse, il fatto di godere di una collocazione geografica eccezionale, essendo nel cuore di una regione che trabocca di petrolio. Per questo motivo, l'Arabia Saudita, ma anche un piccolo Paese come il Kuwait, hanno sulla scena internazionale un ruolo più importante di quello dell'Egitto. Mubarak e i suoi sono convinti, ovviamente sbagliandosi, che la benevolenza o l'approvazione espresse da un Netanyahu o da un eminente rappresentante dell'amministrazione americana possano renderli idonei all'esercizio assoluto del potere, imponendo, come fanno, i propri desideri, la propria volontà. E questo va fino all'imposizione dei risultati di un'elezione politica. Tuttavia, questo doppio accecamento non è cosa recente. Non è necessario, per provare quello che sto affermando, risalire fino all'epoca di Nasser, il cui accecamento ha portato il Paese al peggiore disastro militare della sua storia moderna. Basterebbe infatti evocare la recente non elezione di Boutros Ghali, per un secondo mandato, alla guida delle Nazioni Unite».
(Gennaro Grimolizzi)

 
Relazioni
eco di stampa di Moustapha Safouan (Psicanalista e scrittore)
Perché il mondo arabo non è libero. Politica della scrittura e terrorismo religioso (Libro)





 
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