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Dal «pantano di Breznev» agli «albori della perestrojika»


  
 
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È stato soprattutto con la sua attività in politica estera che Mikhail Gorbaciov si è guadagnato un posto nella storia. Costretto a gettare la spugna nella battaglia interna, dove è fallito il suo progetto di trasformare l'Urss mantenendo la sua configurazione di Stato unitario e centralistico, Gorbaciov è divenuto il simbolo della fine della "guerra fredda" e della normalizzazione dei rapporti Est-Ovest. Ed è stato proprio il "nuovo stile" inaugurato in politica estera a fare di Gorbaciov il leader più popolare in Occidente. Uno stile basato essenzialmente sulla disponibilità ad ascoltare gli interlocutori, sull'abbandono dei vecchi "cliché" di sospetto e segretezza ostentati per decenni dai massimi dirigenti sovietici, sull'eliminazione della consistente "patina" ideologica che aveva regolarmente avvolto e condizionato la politica estera del Cremlino. E la storia del nuovo corso gorbacioviano che lanciò nel pianeta sovietico le due parole – "perestrojika" (ristrutturazione) e "glasnost" (trasparenza) – che riassumevano il senso delle riforme che egli intendeva introdurre tanto nel Paese quanto nel partito comunista al potere dal 1917, è al centro della testimonianza dell'ultimo Ambasciatore dell'Urss e primo Ambasciatore della Federazione russa a Roma, Anatolij Adamishin (Tramonto e rinascita di una grande potenza, edito dalla "Spirali/Vel", 294 pagine, Lire 30.000).
Nella parte introduttiva del libro Adamishin, nato a Kiev, in Ucraina, racconta la sua difficile infanzia, i suoi studi nell'epoca staliniana, il suo primo incontro con l'Italia, il "bel Paese" che gli resterà sempre nel cuore, affascinato dalla cultura, dall'arte, dalla mondanità, dalla musica, dalle partite di calcio. L'autore registra le annotazioni degli eventi degli ultimi decenni, dal "pantano di Breznev" agli "albori della perestrojika" fino al fallito golpe del 20 agosto 1991 a Mosca senza nascondere un velo di nostalgia nei confronti del comunismo pur ammettendo che dal XX Congresso «cominciavano appena a capire tutta la mostruosità dell'utopia marxista, tentata senza successo su un sesto del territorio del pianeta». Alla fine degli anni '70 la vicenda dei missili "SS-20" – a medio raggio «che non potevano raggiungere l'America e perciò vennero schierati contro l'Europa occidentale» – dimostrava «che il complesso bellico-industriale cominciava a dettar legge in politica estera». E, secondo Adamishin, uno degli errori che commisero i dirigenti sovietici fu che «pensavano che il movimento antimilitaristi in Europa e le proteste contro l'arma nucleare fossero così diffusi da impedire ai rispettivi Governi di autorizzare contromisure americane nei nostri confronti».

Nella parte centrale del diario politico Adamishin prende in esame tre anni (1990-1991-1992) di storia sovietica prima e russa dopo in un continuo alternarsi di ciò che avviene a Roma e a Mosca. In queste pagine, ricche di episodi vivaci, vengono riportati gli avvenimenti che si susseguono con una imprevedibile rapidità nella scena mondiale e in quella italiana. L'Autore nella sua veste di Ambasciatore incontra, a villa Abamelek e nei posti italiani più suggestivi e mondani, sia uomini politici sia i grandi imprenditori ai quali chiede di appoggiare economicamente il suo Paese. L'Occidente deve ricordare che sviluppo e solidarietà sono due chiavi per la pace, ma – come si legge in una nota del 24 febbraio 1991 – «gli industriali italiani stano perdendo la fiducia in noi. I burocrati di Mosca vogliono di nuovo fare il bello e il cattivo tempo e non rispettano le regole commerciali. Morale: l'operatore italiano preferisce la Cecoslovacchia, l'Ungheria e altri Paesi ex satelliti».

Giorno dopo giorno Adamishin, un fidato collaboratore dell'architetto della nuova politica estera sovietica, Eduard Shevardnadze, passa al setaccio i capovolgimenti epocali: il nuovo corso di Gorbaciov, con la sua potente carica di libertà e democratizzazione, la normalizzazione dei rapporti sovietico-americani, gli accordi sul disarmo, il crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est e nella stessa Urss, la caduta del Muro di Berlino, la riunificazione tedesca e lo scioglimento del Patto di Varsavia, e – manifestando nelle pagine un immensurabile amor di patria «la coscienza nazionale, dopo aver subito tante offerse, è tutta una ferita dolorante» –, se la prende con «i politici nuovi (e molto ci è costato il cambio della guardia!)». Secondo Adamishin i nuovi politici «incorrono in errori già commessi dai vecchi e, quanto a corruzione, li superano». Inoltre, non tralascia di criticare il leader del Cremlino per la sua «ingenuità» e l'«indecisione a rompere con l'establishment», soprattutto la lobby militar-industriale e a realizzare drastiche riforme economiche. «Il suo grande sbaglio è stato quello di illudersi di poter riformare il proprio regime e il proprio partito, due entità che si sono rivelate perfettamente irriformabili».

Il comunismo è stato un tentativo fallito di riforma della società e degli Stati, un'ideologia totalitaria e come afferma l'autore «il XX Congresso fu certamente la prima pietra miliare sulla via di una civile esistenza. In principio molti non riuscivano nemmeno a credere ai crimini dello stalinismo, tanto mostruosa risultava la vita di alcuni milioni di persone confinate in un lager». Il comunismo è stato dunque una catastrofe antropologica in quanto è stato negatore dello spirito e ha indotto l'uomo a una contabilità di bisogni ed è stato negatore della libertà perché nel nome dell'utopia egualitaria ha pianificato, sacrificato, conculcato in un sistema dogmatico e in una matematica materialista la varietà, la ricchezza, la diversità entro cui soltanto vige quel momento, quel rapporto, quella dialettica che dà sostanza e forma alla libertà. E senza libertà gli atti umani sono svuotati, sprovvisti di valori.

Nel Natale del 1991 è stata ammainata dopo 74 anni la bandiera rossa sul Cremlino. L'Urss ormai non esiste più e sulle sue ceneri è nata una nuova Comunità di Stati indipendenti, il Pcus è stato sciolto, Gorbaciov non è più Presidente, il potere è nelle mani di Yeltsin. Il tramonto dell'Urss e la rinascita di una grande Russia sono visti "dall'interno". Decadimento politico, crisi economica, criminalità organizzata – il «vero flagello» secondo Adamishin – e ultranazionalisti alla Zirinovskji infiammano la società russa. Si va verso il caos? «Guai a demolire una struttura se non esiste ancora quella che la sostituirà». Certo non si possono dimenticare lunghi decenni di dittatura comunista, ma, in questo momento di transizione, la rivoluzione democratica in Russia è un segno di speranze per il futuro.

(Giuseppe M. Petrone)

 
Relazioni
eco di stampa di Anatolij Adamishin (Ambasciatore russo)
Tramonto e rinascita di una grande potenza. Diario politico dell'ultimo ambasciatore dell'Urss e del primo ambasciatore della Russia a Roma (Libro)





 
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